giovedì 26 giugno 2014

Il mercato del Capo, tra chiese, street food e qualche imprevisto





I mercati storici di Palermo sono i luoghi ideali dove ascoltare i battiti della città. Abitati da chi ne popola i rioni da generazioni, prendono vita alle prime luci dell'alba, per animare la vita palermitana fino al tardo pomeriggio.

Inizio con il parlarvi del mercato che mi è più caro: il Capo. Due anni fa ho avuto il piacere di abitare nel cuore del rione per un'estate intera. Ho soggiornato al b&b, Porta Carini (ve lo consiglio, lì si sta proprio bene n.d.r.). Da questa esperienza ho compreso un paio di cose: la Palermo antica e popolare ha un'identità incorruttibile, la gente di strada, talvolta, ha una gentilezza del cuore molto più grande di quanto non si possa immaginare.
Il mercato del Capo parte dal via Volturno - a due passi dal teatro Massimo e a un tiro di schioppo dal palazzo di Giustizia  - e si allunga quasi fino al quartiere della Guilla, alle spalle della cattedrale. Tra le bancarelle dei venditori di frutta e  quelle dei pescivendoli, da qualche anno si intersecano anche le botteghe degli extracomunitari.
 
 

Si tratta in prevalenza  di attività gestite da pakistani, che hanno installato al Capo le loro tradizioni culinarie. Non stupitevi se, durante una passeggiata, vi imbatterete in bancheralle grondanti  bacche oblunghe o ortaggi mai visti: sono cibi tipici asiatici, curiosi da vedere e buoni da gustare (per prudenza, considerato che non conosco la filiera, ho sempre mangiato queste verdute ben cotte). Dall'antica Porta Carini (uno degli ingressi storici della città) parte il carosello degli ambulanti, che vendono frutta di ogni foggia, spezie provenienti dalle estremità meno conosciute del globo, capperi di Pantelleria, marzapane "delle monache", frutta candita, origano e cannella.
 
 

 E' una passeggiata che stimolerà principalmente il vostro olfatto, considerata la mole di profumi che vi colpiranno e che vi farà venire il desiderio di fermarvi a fare acquisti. Come per tutti i mercati meridionali che si rispettino, anche al Capo vale la legge della contrattazione: sul prezzo, sulla quantità, sulla varietà. Occhio alle bancarelle del pesce, a volte le vongole sono talmente fresche che vi colpiranno con i loro schizzi. Ci sono poi le macellerie storiche e un paio di panifici, dove è possibile acquistare dei fragranti biscotti per la prima colazione (i regina, decantanti dal commissario Montalbano, sono una vera delizia per il palato) o le buonissime millefoglie (un dolce a pasta lievitata e uvetta, ricoperto di zucchero grezzo).
Al Capo, se non siete particolarmente igienisti, potrete anche gustare le proposte street food: sficione in carrozzella (mi piace definire così un classico della cucina siciliana, una pizza alta e soffice, condita con "asciattu"/concentrato di pomodoro, cipolla fritta e pecorino grattuggiato -  la vendono spesso degli ambulanti, che la espongono su di un marchingegno a ruote), fichidindia già sbucciati, polpette di pesce e mini porzioni di caponata.
Non mancano un paio di ristorantini (citati anche in alcune guide turistiche) e qualche fast sicilian food.Tra una bancarella e un'altra,si incastonano alcuni tesori palermitani: la chiesa monumentale dell'Immacolata concezione, quella di sant'Ippolito martire e più giù, tra i meandri del quartiere, quella di sant'Agostino. Pare che siano stati proprio i monaci agostianiani a dare vita al rione e allo storico mercato. Di queste chiese (l'itinerario del quartiere ne comprende in tutto sette) vi parlerò più approfonditamente in un altro post. Al Capo si respira l'aria della Palermo tradizionale: dialettale, vociante, accalorata e multicolore. Le stradine sono spettacolari, così piene di "personaggi", di alcove, di altari dedicata alla Santuzza, di vecchie chiese (alcune delle quali, ahimè, diroccate) e di scorci da verismo cinematografico. I loro nomi potrebbero essere spunto per i semiologi: via delle Sedie volanti, della Rosa alla gioia mia, Fastuca.
 Al Capo ho trascorso un periodo della mia vita che non dimenticherò. Passeggiare lungo il mercato mi ha dato allegria e mi ha offerto molti spunti da trasformare in parole. Soprattutto quell'esperienza ha stemperato un mio difetto, tutto siciliano: l'essere diffidente verso lo "straniero". Tra alcuni tipi, apparentemente loschi, che abitano il quartiere, ho individuato un'umanità impensabile per i perbenisti. A tal proposito vi racconto una mia disavventura. Smarrii il mio cucciolo di cane, una labrador di nome Dafne.
Ero disperata, ci eravamo trasferiti a Palermo da poco e Dafne non conosceva nulla della nuova città. In lacrime mi lanciai alla cieca nelle ricerche. In pochi istanti il quartiere mi fu intorno e con tutta la solidarietà possibile mi fece bordone. Ho intravisto sguardi comprensivi, come raramente mi è successo di conoscerne. Nel giro di neppure un'ora abbiamo ritrovato la mia cucciola. Come tutti i pericoli scampati, ricordo quel momento come una delle parentesi più belle della mia vita. Il giorno seguente festeggiai con la gente del posto, tutti insieme a suon di arancine e sfincioni.
Non dimenticherò mai l'entusiasmo e la gratitudine dei ragazzini del Capo. Si erano sentiti utili e avevano apprezzato il valore di quella piccola ricompensa festaiola. E' vero, quel giorno, a qualcuno di loro scappò qualche parola colorita n salsa sicula, ma quando ritrovammo il cane, lessì nei loro occhi l'energia pulita di chi ha centrato un obiettivo. A volte  basta un "perchè" e la vita prende pieghe che non ti aspetti. Questo è per me un motivo in più per suggerirvi un'attenzione particolare al Capo, alla sua storia e alla sua gente (foto Maristella Panepinto All rights reserved)

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